La paura del silenzio

 

Il silenzio ci permette di ascoltarci.
Il silenzio è un momento di sospensione, come mettere in pausa una canzone, come l’intervallo in un film. Spesso questa pausa, questo intervallo, viene percepito come un momento negativo, come una interruzione non gradita. In realtà rappresenta un momento per riordinare, elaborare gli stimoli percepiti, le informazioni ottenute, le immagini immagazzinate. Un momento di latenza prima di ripartire più consapevoli di ciò che è accaduto, di una esperienza che abbiamo vissuto, di un momento a cui abbiamo partecipato.

Ma perché ci spaventa così tanto?
Perché il silenzio rappresenta un tempo e uno spazio vuoto e questo vuoto evoca angoscia, quella della perdita, della fine, di un momento non stimolante e quindi non vivo. Evoca la paura di perdere tempo, esperienze, momenti di vita.
La conseguenza di questa angoscia percepita è l’innescarsi di un circolo vizioso che ci spinge verso il pieno che si manifesta nel fare; muoversi immediatamente verso altri stimoli ed esperienze che ci facciano appunto sentire di essere pieni. E’ come se per esserci, esistere, fosse necessario fare continuamente qualcosa.
Questo ha però come conseguenza lasciare indietro molte cose di sé, molte emozioni che non elaborate o consapevolizzate nel silenzio, in un momento di pausa, di intervallo possono ripresentarsi alla sprovvista creandoci una vera angoscia, spiazzandoci, spaventandoci o facendoci sentire estranei a noi stessi.
Il bisogno dominante attuale è quello di sentirci adeguati, ma la domanda che molto raramente ci facciamo è rispetto a cosa vogliamo sentirci adeguati. Questo accade perché apparentemente non c’è il tempo per chiederselo, ma in realtà è perché non ci prendiamo il tempo per chiedercelo. Tra un traguardo e l’altro non fermiamo il film nel quale stiamo vivendo o che ci stiamo facendo, non mettiamo in pausa la canzone che ci stanno cantando o che ci stiamo cantando.
Se la capacità di adeguamento viene assunta come misura del valore di sé (ho fatto cose giuste quindi sono bravo, quindi valgo, sono importante, stimabile, amabile) basta un piccolo fallimento o una frustrazione perché si tema di non valere proprio nulla, di non essere degni di stima e amore e soprattutto di non conoscersi affatto, di essere estranei a sé stessi.

Perché accade questo?
Perché appunto si è deciso che una paura, un intervallo, un momento di silenzio che avrebbero permesso di ascoltarci, di ascoltare i nostri desideri più profondi, erano una perdita di tempo rispetto al traguardo da raggiungere.
C’è però una netta differenza tra l’adeguarsi ai nostri più profondi desideri e al nostro sentire rispetto alle aspettative altrui e alle convinzioni ben radicate nella nostra mente. Ma per sentirci, ovvero ascoltare quella parte di noi che racchiude desideri, bisogni reali a profondi, verità innegabili è necessario mettere in pausa, dire time out, stare nel silenzio.
Il primo passo è autorizzarsi a pensare che questo sia possibile per noi.